2017-2019
Estremo sud d’Italia, baricentro
del Mare Nostrum, crocevia di popoli, mercanti e galeoni, cuore pulsante della
Magna Grecia: è qui che l’Halex flu, linea di confine tra le antiche
Repubbliche di Locri e Reggio, navigabile nel suo ultimo tratto, ricoprì un
ruolo strategico per l’ellenizzazione dell’intera vallata dell’Amendolea (nome
attuale della fiumara).
Spina dorsale dell’area grecanica
(in cui esiste ancora il greco di Calabria), dal cuore dell’Aspromonte la
fiumara discende per 38 km sfociando sul mar Ionio. Nasce infatti come torrente
nei pressi della diga del Menta, il suo maggiore affluente, arricchito dalle
cascate omonime, trasformandosi in fiumara quando incontra la frana Colella,
punto in cui il suo letto raggiunge la massima apertura che arriva a misurare
500 m. Percorrere i sentieri che fiancheggiano l’Amendolea, oltre che godere di
viste mozzafiato e bellissimi paesaggi, è come fare un viaggio a ritroso nel
tempo. Risalendo dalla foce alla sorgente le suggestioni da cui si viene
avvolti sono via via maggiori; dai ruderi dei mulini sulle rive della fiumara,
ai resti dell’antico castello Ruffo, dai ruderi di abitazioni rurali ai muretti
di sostegno dei terrazzamenti, a testimonianza delle trasformazioni del
territorio e del suo successivo abbandono. Emblema di questo abbandono è il
borgo di Roghudi Vecchio, arroccato su una rupe a picco sull’Amendolea a 600 metri sul livello del mare, disabitato
dalle alluvioni degli anni ’70 ma che rimane attaccato al suo passato. Camminare
nei suoi viottoli ed entrare nelle case dove vi sono ancora scarpe e vestiti accanto
al letto, stoviglie in cucina e documenti nei cassetti, suscita un mix di
sensazioni che riportano alla vita di 50 anni fa, a una società che resiste nei
ricordi degli anziani: la sua gente vive ora più a valle, nel paese nuovo, a
ridosso della S.S.106. Il destino di Roghudi è legato a quello di altri paesi dello
stesso territorio, annullati da calamità naturali e ricostruiti altrove. La
vita e l’identità di questo popolo non si è però fermata. C’è chi sceglie di viverla attivamente questa terra, e sceglie
di raccontarla.
Un territorio vissuto da gente
come Rosy, giovane donna a capo dell’associazione Gallicianò Centro Studi Grecofono, che con tenacia difende le
radici linguistiche e storiche del piccolo borgo, tenendo corsi di grecanico
per bambini e adulti insieme a Domenico, architetto progettista e custode della
chiesetta ortodossa presente nel borgo; Raffaele, che in cinque anni, con
l’aiuto di molti donatori, ha realizzato il museo etnografico di Gallicianò;
Mario, pastore svizzero del Canton Vallese che, dopo una visita turistica nel
2012, ha deciso di comprare casa e vivere nel borgo per sei mesi l’anno,
costituendo ormai parte attiva nella vita della comunità; e poi ancora Francesco,
che con le escursioni organizzate dal suo gruppo archeologico ti accompagna
lungo i sentieri dell’Amendolea.
Sono solo alcuni dei nomi di chi, quotidianamente, si spende con passione per questo territorio.